24 anni fa avveniva la strage di via D’Amelio, l’attentato realizzato da Cosa Nostra in cui venne ucciso il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Sopravvisse solo un agente della scorta, Antonino Vullo.
L’attentato avvenne domenica 19 luglio 1992 alle ore 16.58. Una Fiat 126 rubata, contenente circa 90 chilogrammi di esplosivo del tipo Semtex-H, esplose in via D’Amelio 21, sotto il palazzo dove viveva la madre di Borsellino, investendo il giudice che quella domenica di luglio si era recato in visita.
Si scoprì successivamente, a seguito di testimonianze di altri agenti, che la via D’Amelio era considerata una strada pericolosa in quanto molto stretta, tanto che era stato chiesto alle autorità di vietare il parcheggio, non solo per evitare autobombe ma anche per avere più libertà di manovra in caso di agguato, richiesta rimasta però senza seguito.
Sulla strage furono sono stati istruiti tre processi, più un’ulteriore indagine riaperta nel 2011. Malgrado alcune condanne, tra le quali ovviamente quella a Salvatore Riina e alla cupola, i procedimenti non hanno del tutto chiarito l’esistenza di eventuali mandanti occulti e i dettagli organizzativi della strage.
Come per l’uccisione dell’amico e collega di Borsellino, Giovanni Falcone, numerosi punti rimangono ad oggi ancora oscuri. Il mistero più celebre è senza dubbio quello dell’ agenda rossa, oggetto in cui il giudice appuntava tutto il suo lavoro e che portava sempre con se ma che mai fu ritrovata.
Proprio sulla scomparsa dell’agenda rossa del giudice Borsellino, nel febbraio 2006, la Procura di Caltanissetta ha aperto un’indagine in seguito alla segnalazione di una fotografia scattata da un giornalista subito dopo l’attentato.
Nella foto si vedeva l’allora capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli che si allontanava da via d’Amelio con la borsa del giudice, borsa che venne ritrovata nell’auto distrutta dall’esplosione dopo alcune ore.
Interrogato dai magistrati, Arcangioli sostenne di avere consegnato la borsa ai giudici Vittorio Teresi e Giuseppe Ayala (i quali erano sopraggiunti sul luogo della strage), i quali tuttavia negarono. Per queste ragioni, il colonnello Arcangioli venne inizialmente indagato per false dichiarazioni e successivamente anche per il furto dell’agenda rossa e la Procura di Caltanissetta ne chiese il rinvio a giudizio.
Il GUP però rigettò la richiesta, sostenendo che non vi erano le prove per un’incriminazione di Arcangioli. La borsa, infatti, rimase per circa quattro mesi presso la squadra mobile di Palermo senza essere aperta e quindi l’agenda potrebbe essere stata sottratta in un momento successivo.
Non solo, il GIP avanzò anche l’ipotesi che, al momento dell’attentato, Borsellino avesse l’agenda rossa in mano e non nella borsa (come testimoniato dall’agente sopravvissuto Antonino Vullo) e quindi questa potrebbe essere stata distrutta nell’esplosione. Questo è solo uno dei tanti misteri della vicenda, a questo si aggiungano i depistaggi, le incongruenze nella preparazione e le falle nella sicurezza troppo sospette.
Quel che è certo è che Borsellino, malgrado sapesse che a breve sarebbe stato il suo turno dopo la morte di Falcone, condusse con la consueta professionalità il suo lavoro anche nelle settimane precedenti a quel maledetto 19 luglio in via D’amelio. Il suo sacrificio ha sicuramente contribuito a smuovere ulteriormente le coscienze della società civile e il suo ricordo viene rivissuto ogni anno con numerose manifestazioni che ne onorano la memoria.