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Firme in prima pagina, presenza fisica in redazione e cariche di rilievo. In tutti questi aspetti la presenza femminile è tragicamente carente. La parità di genere non è cosa delle redazioni giornalistiche e ora uno studio della Reuters Institute for the Study of Journalism lo dimostra con i numeri.

Meno donne, meno diversità, meno rappresentanza creano un giornalismo estremamente lontano dalla realtà. È questa la conseguenza diretta al numero e al grado delle donne in redazione, problema emerso dall’ultimo studio del Reuters Institute for the Study of Journalism di Oxford, che da sempre lavora e monitora il futuro del giornalismo nel mondo. Questa volta l’istituto inglese si è concentrato sulla diversità in redazione. Proprio in occasione dell’8 marzo, infatti, su un campione di 200 tra i principali organi di informazione online e offline, in dieci diversi mercati su quattro continenti, l’istituto Reuters ha analizzato la parità di genere dei giornalisti in ruoli apicali. Il dato riscontrato è che la maggioranza dei giornalisti con ruoli di prestigio sono uomini e anche se esiste una positiva correlazione tra la percentuale di donne che lavorano come giornaliste e la percentuale di donne con ruoli di comando, ci sono meno donne in ruoli di vertice rispetto alle donne nella professione nel suo complesso. Inoltre nel campione preso in esame, ci sono molte più donne tra i ruoli apicali online rispetto a quelli offline. Il dato preoccupante per il nostro paese è che l’Italia risulta assente dallo studio dell’istituto inglese.

Dei dati sulla parità di genere nelle redazioni italiane ha scritto di recente la giornalista e public editor de La Stampa Anna Masera. L’articolo pubblicato su La Stampa analizza i dati forniti dall’Inpgi, Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani, guidato dalla direttrice generale Mimma Iorio e dalla presidente Marina Macelloni, giornalista de Il Sole 24 Ore. I numeri forniti dall’Inpgi, purtroppo, confermano le dinamiche generali degli altri settori. Le giornaliste italiane hanno carriere più discontinue e paghe inferiori rispetto ai loro colleghi maschi. Nello specifico emerge che: la percentuale di occupazione regolare per le donne nel giornalismo è del 41% (dati Inpgi 2019), questo dato cambia se si alza l’età a 40-50 anni; in questo caso il numero delle donne presenti in redazione si avvicina molto a quello degli uomini. Un dato che mostra come il problema della parità di genere sia maggiormente presente tra le nuove generazioni. È maggiore anche il numero di donne giornaliste precarie, 42,3% (Inpgi 2020); un altro primato risiede nelle paghe: 18% in meno per l’occupazione regolare, la retribuzione media è 53.078 euro contro 64.770 dei maschi. Si registra inoltre  un’evidente differenza salariale tra la retribuzione media delle professioniste più giovani – 19.296 euro per la fascia fino a 30 anni – e quelle più adulte – 77.408 euro per le over 60. Per freelance o precari, le retribuzioni medie sono molto più basse, e il gender pay gap è del 15,3% tra i liberi professionisti. Solo tra i co.co.co. le donne hanno un dato positivo: guadagnano, infatti, il 6% in più ma sulla base di una retribuzione media di 9.236 euro per le donne, 8.697 per gli uomini. Il gender pay gap pesa, ovviamente, di conseguenza, sul divario delle pensioni, le ex giornaliste con occupazione regolare registrano un 26% in meno di pensione.

Il problema non è solo nella presenza redazionale o nel gender pay gap, ma anche nelle conseguenze che questa assenza porta con sé.

La giornalista Lisa di Giuseppe in un articolo su Domani  scrive di un nuovo studio che traccia una correlazione tra la presenza delle donne nelle redazioni e l’interesse del pubblico femminile nell’informazione. Il report in questione, The Missing Perspectives of Women in News, firmato da Luba Kassova per la Bill & Melinda Gates Foundation, riguarda l’uguaglianza tra i sessi nel giornalismo. Il rapporto mette in luce molteplici conseguenze della disparità tra giornalisti e giornaliste: “Finché il giornalismo resterà un affare da uomini – come evidenzia la giornalista Lisa Giuseppe – fatto dagli uomini che parlano di uomini perché altri uomini li leggano, anche il pubblico femminile continuerà a non sentirsi coinvolto.” L’assenza femminile in redazione non fa altro che rafforzare questo fenomeno: non essendoci donne manca, infatti, la spinta a cambiare la situazione e lo status quo viene interiorizzato. Non mancano dunque solo le giornaliste donne, ma manca anche il pubblico di lettrici proprio perché è assente un punto di vista femminile.

Prime pagine sotto la lente d’ingrandimento. Il nostro monitoraggio
Abbiamo monitorato, per una settimana, le prime pagine dei principali quotidiani nazionali e locali, in versione cartacea. I quotidiani sono stati scelti per diffusione e rilevanza, cercando di coprire non solo la sfera politica ma anche economica e sportiva, per fornire una panoramica quanto più completa e sono: La Stampa, Corriere della Sera, La Repubblica, Il Sole 24 Ore, Il Giornale, Libero, Domani, Il Mattino, Avvenire, Corriere dello Sport, La Sicilia. Una ricerca che, per quanto sia stata condotta per un arco temporale ristretto, ci restituisce comunque una tendenza chiara e netta, vista la varietà di testate prese a riferimento durante l’analisi continuativa del fenomeno: in merito al binomio donne e giornalismo il bilancio è infatti negativo. Quello che emerge è che la firma femminile in prima pagina risulta essere poco presente in tutti i maggiori quotidiani italiani. Su 7 giorni di monitoraggio, i pezzi in prima pagina a firma di giornaliste sono solo il 23% sul totale degli articoli riportati.

Abbiamo osservato anche una differenza sostanziale circa la posizione delle firme femminili in prima pagina. Molto spesso, infatti, vengono relegate a spazi in fondo alla pagina (taglio medio o basso ) o ad “anteprime” (civette) che quindi non sono solo meno rilevanti e prestigiose ma contengono naturalmente un numero di caratteri inferiore. Gli argomenti trattati dalle giornaliste spaziano dalla politica, alla sanità, alla cultura. Risulta quasi del tutto insignificante la presenza di firme femminili sulle prime pagine dei quotidiani Il Sole 24 Ore e La Gazzetta dello Sport. Un aspetto particolare è che la maggior parte degli articoli che raccontano imprese di donne, nei titoli riferiscono solo i nomi e mai i cognomi di queste o le raccontano in base a una figura maschile a loro prossima. Stessa dinamica si evidenzia quando si parla di successi femminili in ambito sportivo, dove spesso viene riportato soltanto il nome della professionista in questione prendendo a pretesto un fare “confidenziale” inadeguato alla protagonista della notizia. Un esempio è il titolo riscontrato sul quotidiano La stampa (22 gennaio 2021): “Ferrari, Maya va sempre più veloce”, dove si riporta solo il nome della prima donna pilota della scuderia Ferrari, Maya Weug.

Alcuni titoli, invece, balzano all’occhio per il taglio paternalistico, scelte che di certo non facilitano il cambio della narrazione sulle questioni di genere. Ad esempio, la notizia della scelta di Ivanka Trump di presenziare all’insediamento di Joe Biden, è titolata su almeno tre giornali e agenzie: “Ivanka fa infuriare papà Donald”.

Proprio per questo, riteniamo che sia necessario rivendicare lo spazio delle donne, di molto inferiore rispetto a quella maschile, anche nelle redazioni giornalistiche italiane e ripensare il femminile in maniera globale per restituire una corretta narrazione giornalistica.