21 anni fa, il 7 aprile 1994, nella sostanziale indifferenza occidentale, iniziava uno dei più sanguinosi genocidi della storia, quello dei Tutsi in Ruanda.
Il Ruanda, piccolo Paese centrafricano delle dimensioni della Sicilia, faceva parte dei domini coloniali belgi. Furono proprio gli europei ad introdurre la divisione tra Hutu e Tutsi, i due gruppi, infatti, anche se preesistevano all’arrivo dei colonizzatori non erano etnicamente connotati, bensì erano due gruppi sociali. I Tutsi, minoranza, rappresentavano la classe dirigente mentre Hutu era la restante parte della popolazione. Tra i due gruppi, ancorché fosse presente qualche attrito, non vi era una vera rivalità ed era possibile passare da un gruppo all’altro e fare matrimoni misti. I tedeschi prima e, soprattutto i belgi dal 1919 dopo, considerarono i due gruppi come etnie separate, usando la minoranza Tutsi per governare la parte Hutu con il solo risultato di esacerbare l’odio tra le due fazioni. Una volta ottenuta l’indipendenza nel 1961, a prendere il potere in Ruanda furono, aiutati proprio dal Belgio, gli Hutu che diedero il via ad una lunga politica di discriminazione nei confronti dei Tutsi. Questi ultimi, in parte, si rifugiarono nel confinante Uganda; alla fine degli anni’80 i Tutsi espatriati crearono il RPF (Fronte Patriottico Ruandese) che nel 1990 tentò di invadere il Ruanda per destituire il governo Hutu appoggiato dalla Francia, la guerra durò tre anni e conobbe la fine con gli accordi di Arusha che prevedevano il riconoscimento del RFP e la fine della discriminazione nei confronti dei Tutsi. Il 6 aprile 1994 un gruppo non ancora identificato abbatté l’aereo del presidente ruandese, dando mano libera alla parte del governo contraria agli accordi. Dal giorno dopo, il 7 aprile 1994, le forze governative, spalleggiate dai paramilitari Hutu dell’Interahamwe e dell’Impuzamugambi, diedero il via all’eliminazione sistematica dei Tutsi. Il genocidio, preparato nei mesi precedenti, portò allo sterminio, spesso tramite machete (perché, nella lucida follia genocida, economico), di 900mila persone in soli 100 giorni, stabilendo un atroce e macabro “record” mai eguagliato. Vittime dell’eccidio, e dello stupro sistematico di donne e bambine, furono i Tutsi ma anche i molti Hutu che si opponevano alle stragi.
La comunità internazionale rimase a guardare e le potenze occidentali intervennero solo ed esclusivamente per far evacuare i propri cittadini nell’area. Gli Stati Uniti erano ancora shockati da quanto accaduto pochi mesi prima in Somalia per volersi far coinvolgere, la Francia, ex potenza coloniale di riferimento dopo lo smarcamento belga, in una prima fase aveva sostenuto il governo ruandese salvo poi allontanarsi una volta constatata la vastità dei massacri, mentre gli altri europei erano più interessati a cosa accadeva in ex-Yugoslavia. Le forze ONU, che erano già presente nella zona, furono ritirate, lasciando un piccolo contingente di circa 200 uomini a sostegno di un rappresentante che aveva il solo compito di provare a mediare tra le parti. Ad interrompere il massacro fu l’avanzata del RPF di Paul Kagame che riuscì ad abbattere il governo il 18 luglio. Come spesso accade in questi casi, l’RPF, nonostante sia stato dipinto come un esercito democratico di liberazione si lasciò andare a vendette nei confronti degli Hutu (sia colpevoli che innocenti), mentre il conflitto Hutu-Tutsi si allargava anche al Congo e al Burundi
Negli anni seguenti, il Ruanda, nonostante sia ancora lontano da forme di governo democratiche, è riuscito a pacificarsi ed importanti passi sono stati fatti nella direzione di un appianamento degli odi tra Hutu e Tutsi. Dopo la fine dei massacri è stato istituito il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda (TPIR) con lo scopo di giudicare i colpevoli del genocidio. Pur essendo molto importante l’attività del TPIR, ad esempio nell’allargare la concezione di crimine contro l’umanità e di genocidio, sono ancora molti i leader Hutu e moltissimi gli esecutori materiali che si sono sottratti alla giustizia rimanendo impuniti.