É la mattina del 20 aprile 1999 e David Klebod ed Eric Harris, due studenti diciassettenni della Columbine High School di Littleton (Colorado), hanno deciso di entrare a scuola per uccidere i loro compagni e insegnanti.
Il massacro della Columbine non è però il frutto di un improvviso raptus di due ragazzi ma il compimento di un piano ben studiato e preparato da mesi. Klebod e Harris, infatti, nei mesi precedenti avevano approntato diversi progetti per compiere un attentato clamoroso, tra i tanti piani quello di piazzare una bomba in un edificio pubblico o quello di dirottare un aereo e farlo schiantare su una città. Ad essere realizzato fu quello nella scuola, questo non solo era stato preparato nei minimi dettagli da diverso tempo ma Harris aveva aperto un blog in cui minacciava alcuni compagni di scuola (tra cui alcune delle future vittime) e faceva inoltre la cronistoria dei preparativi.
Il piano originario prevedeva di far esplodere un piccolo ordigno in un campo vicino per sviare l’attenzione dei soccorritori, quindi far detonare due potenti bombe artigianali nella mensa e poi aspettare all’esterno della scuola i superstiti in modo da colpirli nella fuga. Dopo il parziale fallimento del diversivo, i due, armati di fucile, carabine semiautomatiche e tubi esplosivi, aspettarono che gli ordigni fatti con bombole al propano esplodessero. Accortisi del mancato innesco, Klebod e Harris non si persero d’animo e decisero di entrare a scuola e iniziare a sparare ai presenti. La mattanza durò circa cinquanta minuti, dalle 11:19, momento del primo sparo, fino alle 12:07 quando si suicidarono nella biblioteca della Columbine. Oltre ai due attentatori a morire furono in 13 (12 studenti e un insegnate) e 24 furono i feriti, alcuni dei quali riportarono danni permanenti. La polizia, che aveva iniziato a circondare la scuola già verso le 11:30, entrò nell’edificio solo alle 13 e iniziò ad evacuare chi era bloccato dentro alle 14:30.
Le polemiche a seguito dell’evento furono violentissime. Dapprima sotto accusa fu messa la polizia che non solo entrò nella scuola a strage finita ma che in un primo momento aveva dichiarato che i due assalitori si erano suicidati alle 15 per provare a coprire, maldestramente, le sue pecche, dopo si passò a dibattere sulle cause. Come da cliché i media misero sul banco degli imputati la musica heavy metal, la tv e i videogiochi, mentre non mancò chi, più accorto, si concentrò sulla facilità di reperire armi (infatti erano state acquistate regolarmente), l’abuso di psicofarmaci e la mancanza di controllo degli organi preposti. Sia Klebod che Harris non solo tenevano un blog in cui manifestavano intenzioni criminali, ma senza mai suscitare la reazione della polizia che pur li conosceva, avevano in più occasioni detto di voler compiere un atto simile, a questo si aggiunga che Harris, a seguito di un precedente giudizio in tribunale, era stato costretto ad assumere antidepressivi molto potenti che, secondo alcuni psichiatri, con i loro effetti collaterali potrebbero aver scatenato la sua furia omicida.
Nella triste storia di massacri in America, quello della Columbine non è quello con più vittime ma probabilmente è quello che maggiormente ha scosso l’opinione pubblica. Questo shock, testimoniato anche dall’incredibile produzione di libri, film e documentari sull’avvenimento, però non ha fatto fare passi in avanti in termini di prevenzione. La NRA, la potentissima lobby dei proprietari e produttori di armi, è forte e influente come non mai, pochissimo è stato fatto per ridurre l’ipercompetitività della scuola americana e quasi nulla in termini di assistenza sanitaria per monitorare e curare chi probabilmente è affetto da qualche disturbo mentale prima che si manifesti in maniera così violenta.