Con le sue 14.000 isole l’Indonesia è il più grande arcipelago del mondo. E’ il quarto stato del mondo per numero di abitanti, e il 65% delle sue coste sono considerate a rischio “overfishing”, ovvero una pesca selvaggia che non rispetta i tempi di riproduzione di una specie. Una delle pratiche più distruttive di pesca ancora in uso in alcune zone dell’Indonesia – e del mondo – è la dynamite fishing, che altro non è che una bomba lanciata in acqua che permette di pescare pesci morti, con effetti devastanti per l’ecosistema marino. Come confidato da un pescatore malese al Guardian, “le bombe sono veloci ma distruggono la barriera corallina”. E in Indonesia la barriera corallina si estende per circa 5 milioni di ettari.
Dal 2004 la Banca Mondiale ha lanciato un progetto di salvaguardia del patrimonio costiero indonesiano. E’ il COREMAP – acronimo che sta per Coral Reef Rehabilitation and Managment Project – ed è costato sette milioni e mezzo di dollari. Il progetto dal 2007 fa parte della Coral Triangle Initiative, una iniziativa che amplia i confini del progetto coinvolgendo oltre all’Indonesia anche Malesia, Filippine, Isole Salomone, Timor Est e Nuova Guinea.
L’idea di COREMAP è quella di fare da ponte tra comunità locali e governo centrale in modo tale da sviluppare una gestione congiunta delle coste, così da ridurre l’impatto ambientale della pesca incontrollata, e allo stesso tempo rilanciare l’economia di interi villaggi. Il governo ha quindi sviluppato una serie di campagne di sensibilizzazione che vanno dai programmi radio trasmessi nei villaggi ad eventi e contest locali, fino ad arrivare alla diffusione di materiale educativo nelle scuole con programmi di apprendimento specifici sulla salvaguardia della barriera corallina.
Grazie a COREMAP, in cinque anni c’è stata una riduzione del 60% delle pratiche distruttive – e illegali – di pesca, passando dai 2.200 casi accertati di infrazione del 2005 agli 800 del 2010. In più – riportano dati della Banca Mondiale – nel 70% dei casi queste infrazioni sono state condannate con regolare processo. Il progetto ha coinvolto 358 villaggi locali, ha formato il 92% dei docenti nelle scuole e ha prodotto un aumento del reddito delle comunità locali del 21%.