“Una democrazia funziona al meglio quando la gente ha tutte le informazioni che la sicurezza della Nazione permette loro di avere”. Con queste parole il 4 luglio del 1966 Lyndon Johnson – 36° presidente degli Stati Uniti – presentava alla nazione il Freedom of Information Act, la legge che negli Stati Uniti istituisce e regola – ancora oggi – l’accesso dei cittadini a documenti federali e archivi di Stato. Una legge che – come ricordato dal presidente nel suo discorso di 49 anni fa – “scaturisce da uno dei nostri principi più essenziali” – e che fu parte di un più ampio programma di riforme politiche e sociali che caratterizzò gli anni della presidenza Johnson e che venne ribattezzato “Great Society”.
Il Freedom of Information Act – conosciuto con l’acronimo FOIA – prevede quindi che negli Stati Uniti il cittadino abbia il diritto di richiedere l’accesso agli atti della pubblica amministrazione, ad eccezione di atti riconducibili a nove categorie – tra cui sicurezza nazionale, privacy e atti giudiziari – che rimangono classificati e che giustificano una bocciatura della richiesta. Uno strumento fondamentale per la libertà di stampa, definita dal presidente Johnson “così vitale che solo la sicurezza nazionale, e non la volontà di pubblici ufficiali o privati cittadini, deve determinare quando vada limitata”. Non ci sono limitazioni legate alla cittadinanza – “cittadino statunitense o no” si legge sul sito del Dipartimento della Giustizia” – e le richieste possono essere avanzate anche compilando un form online, così come online è possibile consultare il numero di richieste formulate e respinte in base al dipartimento e all’agenzia di riferimento. Non c’è un ufficio centrale a livello federale che gestisce queste domande, ma è compito di ciascuna agenzia o dipartimento smistare la propria mole di richieste.
Oggi più di 90 Paesi in tutto il mondo hanno adottato una legislazione simile a quella statunitense in materia di trasparenza nell’accesso agli atti pubblici. L’Italia non fa ancora parte di questa lista, per effetto di una legge – la 241 del 1990 – che al comma 3 dell’articolo 24 recita: “Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate a un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni”. Ma il FOIA è stata da subito una priorità del governo presieduto da Matteo Renzi. Nel suo discorso di insediamento – il 24 febbraio 2014 – il Presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva infatti promesso “non semplicemente il Freedom of Information Act, ma un meccanismo di rivoluzione nel rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione tale per cui il cittadino può verificare giorno dopo giorno ogni gesto che fa il proprio rappresentante”. Un anno e tre mesi dopo, il Ministro per la semplificazione e per la Pubblica Amministrazione Marianna Madia annunciava su Twitter e su YouTube l’intenzione di inserire il Freedom Information Act all’interno della riforma della pubblica amministrazione. E proprio questa settimana la Commissione Affari Costituzionali ha approvato un emendamento al ddl delega per la pubblica amministrazione che introduce il FOIA anche in Italia.
Quasi cinquanta anni dopo rispetto agli Stati Uniti, e a distanza di quasi duecento anni dalle parole di James madison – 4° Presidente nella storia degli Stati Uniti – che nel 1822 ribadiva in questo modo la correlazione tra informazione, conoscenza e buon governo: “Un governo popolare senza informazione popolare, o i mezzi per acquisirla, non è altro che un prologo a una farsa o a una tragedia, o forse a entrambi. La conoscenza prevarrà sempre sull’ignoranza; e un popolo che vuole governare sé stesso deve armarsi con il potere offerto dalla conoscenza”