Di Alberto Pioppo – Alla fine è stato addio: la Gran Bretagna saluta l’Unione Europea al termine di un matrimonio mai troppo appassionato. Quali sono state le cause e quali potrebbero essere le conseguenze di questo divorzio?
Il principale responsabile è, ovviamente, il dimissionario Primo Ministro inglese conservatore David Cameron.
Nel 2010 Cameron diventa Primo Ministro ma, non disponendo di una maggioranza assoluta, dà vita ad un governo di coalizione coi liberal – democratici guidati da Nick Clegg. Si arriva alle elezioni del 2015: la campagna che le precede ha creato quello a cui abbiamo assistito stamane.
Il Premier è alla guida di un partito, quello conservatore, con una doppia anima: quella europeista, da lui incarnata, e quella euroscettica il cui rappresentante più celebre è l’ex Sindaco di Londra Boris Johnson. Cameron promette che, in caso di sua rielezione, sarà il popolo ad esprimersi sulla permanenza nell’Unione. Mantiene la guida del partito, vince le elezioni raggiungendo la maggioranza assoluta e pone le basi per l’esito shock di questa notte.
Qua le opinioni possono essere diverse: c’è chi nella scelta del Primo Ministro vede una testimonianza di trasparenza, il potere al popolo, l’avvento della democrazia diretta in luogo di quella rappresentativa.
C’è chi invece – in un fronte tanto variegato a partire da Mario Monti fino ad arrivare a Noel Gallagher – vede un inaccettabile tirarsi indietro da parte della politica in un momento storico in cui l’antipolitica rischia di farla da padrone e in cui vengono messi in discussione 70 anni di valori e di visione della società che dovrebbero appartenere a tutti.
Quel che è certo è che il cambiamento rischia di essere epocale: Monti, anche prima di conoscere come noi stamane all’alba l’esito delle urne, sosteneva che l’errore di Cameron fosse madornale a prescindere dal risultato perché avrebbe, di fatto, creato un precedente. Osservando le immediate reazioni post vittoria del Leave è difficile dargli torto: Marine Le Pen ha dichiarato che, se dovesse arrivare all’Eliseo, si batterebbe per un analogo referendum nei primi sei mesi del suo governo.
Matteo Salvini ha dichiarato “adesso tocca a noi”, anche se la Costituzione Italiana non prevede la possibilità di porre i trattati internazionali come materia referendaria.
Se da un lato non bisogna farsi trascinare dagli allarmismi che vedono nella partecipazione di tutti i paesi europei alla vita dell’Unione come l’unica frontiera contro le guerre che hanno funestato il secolo scorso, dall’altro è innegabile che l’uscita del Regno Unito dall’UE rischia di generare un effetto domino che può portare al cambiamento dell’Europa per come l’abbiamo conosciuta.
Per i ragazzi nati negli anni ’80 che hanno conosciuto un solo modello di Europa: quella unita, degli Interrail e degli Erasmus, senza frontiere e con i voli Low cost.
I cambiamenti ai quali si potrebbe andare incontro sono diversi: i primi a subirne le conseguenze saranno, inevitabilmente, i 250mila italiani che oggi vivono a Londra anche se le stesse non saranno immediate: siamo alle porte di una fase di negoziati tra UK e UE che, in nome dell’Articolo 50 del Trattato di Lisbona ha una durata prevista di due anni.
Ci potrebbero essere differenze sostanziali anche per raggiungere l’Inghilterra: Michael O’Leary, Mr.Ryanair, aveva dichiarato prima del referendum come l’avvento delle tariffe low cost era il frutto del mercato unico e della deregulation sul traffico aereo, aspetti che la Brexit potrebbe mettere in crisi.
Inoltre, diversi colossi finanziari (JP Morgan, Goldman Sachs) avevano dichiarato che in caso di Brexit si sarebbe messo in moto un processo di delocalizzazione che avrebbe portato alla perdita di migliaia di posti di lavoro. Stamane il valore della Sterlina era crollato di oltre 10 punti percentuali, il peggior risultato mai registrato negli ultimi 30 anni.
L’Unione Europea ha indubbiamente delle responsabilità in ciò che è accaduto, ha anteposto il rigore e l’austerità di fronte a tutto, contribuendo a svilire quell’orgoglio europeista che costituiva lo spirito infuso dai padri fondatori. Che l’inizio della fine possa partire da un paese amato da molti e con uno dei tassi di disoccupazione più bassi d’Europa è particolarmente triste.