di Emilia Esini
Mentre 24 scienziati firmano una lettera aperta dove esortano la corte penale internazionale a considerare i danni all’ambiente come crimini di guerra[1], in molti Paesi sono gli attivisti ambientali a essere considerati criminali, nemici dello Stato. Lo dice un report dal titolo più che eloquente “Nemici dello Stato?”, redatto dall’organizzazione Global Witness, che ha base negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Belgio. Il rapporto è dedicato a tutti coloro che sono morti per difendere la propria terra e il nostro pianeta, ricordando il nome di ognuno dei 164 ambientalisti uccisi solo nel 2018.
Global Witness stila una classifica dei Paesi con più uccisioni di attivisti ambientali nel 2018: al primo posto le Filippine con 30 morti, al secondo, con 24 morti, la Colombia (vi avevamo parlato qui di Francia Marquez, attivista vincitrice del premio Goldman per l’ambiente, che ha recentemente rischiato la vita in un attacco terroristico), al terzo l’India con 23 vittime e a seguire Guatemala e Messico, il cui numero di assassinii è stato comunque sopra la decina.
Nell’immaginario europeo, se pensiamo alla parola ambientalista e chiudiamo gli occhi, probabilmente ci viene in mente una ragazzina svedese con le trecce che racconta di come il nostro pianeta sia una casa in fiamme. Abbiamo tutti ammirato il coraggio di Greta, che a soli 16 anni ha preso la parola di fronte a uomini più vecchi e potenti di lei; tuttavia in altri paesi del mondo l’attivismo ambientale non si traduce in un dialogo aperto con le istituzioni, ma prende la forma di una lotta all’ultimo sangue contro lo stato e contro le multinazionali, che hanno interessi economici di enorme portata in quei Paesi e per le quali il rispetto dell’ambiente e la tutela degli abitanti di quei territori significherebbe un crollo dei profitti. Non a caso gli attivisti più colpiti sono quelli che si occupano di 3 settori: industria mineraria, attività agroindustriale e risorse idriche, che costituiscono business miliardari per pochi e danni incalcolabili per molti. Guardando la classifica redatta da Global Witness non è difficile intuire che lo sfruttamento delle risorse da parte delle multinazionali costituisce un proseguimento del colonialismo, che ha mutato forma, ma che non si è affatto interrotto. Infatti il tema della lotta non è mutato: da un lato ci sono gli indigeni, che chiedono di essere proprietari della terra che abitano e di preservarla con delle logiche di conservazione; dall’altro ci sono le multinazionali, capeggiate da chi in quelle terre non ha mai vissuto, ma che seguendo la logica del profitto, vogliono spremerle quanto più possibile.
A contrastare la lotta degli ambientalisti non ci sono solo le multinazionali, ma anche i governi che spesso pongono in essere misure legali contro gli attivisti, criminalizzandone le azioni o ricorrendo addirittura al bando. Con criminalizzazione si intende la creazione, il cambiamento o la re-interpretazione della legge, così da rendere illegali attività che sarebbero normalmente lecite[2]; ad esempio, l’attivista nicaraguense Medardo Mairena Sequiera è stato condannato a 200 anni di prigionia per terrorismo e criminalità organizzata: la reale motivazione alla base della sua condanna è stata quella di essere a capo di una campagna contro la costruzione di un canale idrico che avrebbe portato al dislocamento forzato di migliaia di persone.
Ogni settimana nel 2018 sono stati uccisi 3 attivisti ambientali in tutto il mondo, eppure non se n’è sentito parlare. Molte delle lotte di questi attivisti “accadono in zone remote, dove la presenza delle istituzioni è minima e […] dove la disparità di potere tra le comunità e le compagnie e gli attori privati è significativa, lasciando le comunità inerme a fronteggiare attori terzi (allo stato ndt)”[3].
Negli ultimi mesi i media hanno dato largo spazio agli scioperi settimanali contro il cambiamento climatico e noi ci siamo emozionati nel vedere ragazzi così giovani scendere in piazza per il proprio futuro, ma non abbiamo sentito le grida di dolore di chi in prima linea è caduto cercando di resistere alla confisca della terra o è stato perseguito per difendere i propri diritti.
[2] Enemies of the State, Global Witness Luglio 2019
[3] ‘Situaci.n de las personas defensoras de derechos humanos en Guatemala: Entre el compromiso y la adversidad.’ Procuradur.a de los Derechos Humanos y Oficina del Alto Comisionado de las Naciones Unidas para los Derechos Humanos en Guatemala, 21 May 2019, http://www.oacnudh.org.gt/images/CONTENIDOS/ARTICULOS/ PUBLICACIONES/Informe_personas_defensoras.pdf, page 13.