Quella che vogliamo raccontarvi oggi è una storia di integrazione e sport che ricorda molto da vicino un’altra storia simile, ovvero quella narrata nel film-documentario di Pierfrancesco Li Donni “Loro di Napoli” e di cui vi abbiamo ampiamente parlato.
La storia è quella dell’FC Lampedusa, una squadra di calcio formata da rifugiati provenienti dal nord Africa, un po’ come appunto l’Afro-Napoli United oggetto del film di Li Donni.
La storia inizia nel 2012 quando, tra gli innumerevoli barconi sbarcati a Lampedusa, ce n’è uno pieno di migranti che hanno lavorato per tanti anni in Libia nell’ambito dei progetti di espansione voluti dal colonnello Gheddafi per trasformare la Libia nella nuova Dubai. La Primavera araba, e la conseguente guerra civile, porterà molti di questi uomini a fuggire dando i propri risparmi agli scafisti per arrivare in Europa. La storia è purtroppo tristemente nota e sempre attuale.
In quel periodo a Lampedusa la situazione è davvero difficile, L’Unione Europea stava per limitare tutti i finanziamenti al Governo italiano per sostenere i centri d’accoglienza. Il Governo italiano comincia così ad ospitare molti migranti in maniera transitoria, fornendo loro un po’ di soldi e permessi di soggiorno prima di indirizzarli verso il nord Europa.
In molti puntano alla Svezia, ma non sempre i soldi bastano e c’è chi si ferma in Germania. Trecento di loro arrivano così a fine 2012 ad Amburgo. Per loro fortuna, trovano ad accoglierli il programma invernale d’emergenza della municipalità locale ma tutto ciò avrà breve durata: il Senato di Amburgo infatti, alla fine del programma nell’aprile del 2013, spinge per rispedire in Italia quelli che ormai sono diventati in città “I rifugiati di Lampedusa”.
I rifugiati trovano accoglienza in una chiesa del quartiere St. Pauli ad ovest del centro di Amburgo. Tra le persone che aiutano i rifugiati ci sono i tifosi della squadra locale del St. Pauli, non nuovi a iniziative umanitarie.
Durante le partite del St. Pauli in curva appare spesso la bandiera della pace. Ai tifosi di estrema destra viene impedito l’ingresso allo stadio. Il primo Mondiale di calcio delle nazioni non riconosciute si è svolto proprio qui.
Nel giardino della chiesa del pastore Wilm, arrivano dei container dove i ragazzi possono rifugiarsi per l’inverno successivo. Il borgomastro (sindaco) Scholz,, vorrebbe mandare via i rifugiati e non approva le iniziative del religioso. Ma Wilm vuole salvare a tutti i costi i rifugiati e addirittura , quando a molti di loro scade il permesso di soggiorno, fornisce loro di una sorta di pass, che permette loro di risultare registrati alla comunità della chiesa.
Laddove non arriva il pastore, arriva il calcio. Perché i tifosi del St. Pauli coinvolgono il club, che ospita i ragazzi a vedere qualche allenamento prima e delle amichevoli poi. Il club di St. Pauli è una polisportiva, con uno staff numeroso e pronto a dare una mano. Succede così che a trenta dei rifugiati viene l’idea formare una squadra di calcio, allenata da cinque ragazze della squadra del St. Pauli di pallamano. Così nasce l’FC Lampedusa.
Il motto della squadra è “Siamo qui per giocare, siamo qui per restare”. Il messaggio dell’FC Lampedusa è ovviamente politico e sociale, in un contesto in cui lo scontro tra la voglia dei rifugiati di restare e quella dell’amministrazione locale di lavarsi le mani del problema umanitario ha creato non pochi problemi.
L’attenzione sulla squadra è per fortuna sempre viva. Nel 2013, già dopo le prime partite, era stato dedicato loro un docu-film, che raccontava della nascita della squadra in mezzo alle proteste dei rifugiati e che è stato presentato anche all’Hamburg Filmfest.
Oggi inoltre il club gioca in un torneo ufficiale locale.
Ancora una volta una dimostrazione di come il calcio e lo sport in generale, possono essere velivolo di integrazione e mezzi per garantire pace e convivenza pacifica. Oltre l’FC Lampedusa, sono tante le storie che vanno in questa direzione e in periodi storici in cui si vuole fare prevalere l’odio per le diverse culture, appare sempre più importante raccontarle.