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Un momento delle manifestazioni che ancora oggi si rivolgono contro la Dow Chemical, società che ha acquisito la Union Carbide

È la mezzanotte tra il 2 e il 3 dicembre 1984, quando a Bhopal, una città da oltre un milione di abitanti nel centro dell’India,  500 km a sud di Nuova Delhi, sta per svilupparsi il più grave incidente industriale della storia.

La città di Bhopal è la sede scelta dall’americana Union Carbide per uno dei più importanti stabilimenti per la produzione di pesticidi al di fuori dei confini nazionali. L’importanza dell’investimento in India era tale che la compagnia americana, la Union Carbide Corporation, fondò nel 1934 una consociata indiana, la Union Carbide India Limited (UCIL) allo scopo di gestire gli impianti nel subcontinente, tra questi quello di Bhopal era tra i maggiori. In origine questo era anche un impianto modello per l’epoca, con la volontà, spesso più dichiarata che reale, di mettere la sicurezza dei lavoratori al primo posto. Le cose cambiarono con gli anni ’80; con la pesante crisi che la travolse, la Union Carbide decise di dimezzare il personale, ridurre le misure di sicurezza e, nel 1983, sospendere la produzione in vista della chiusura dello stabilimento.

Come spesso accade in questi casi, i controlli non vennero ridotti ma quasi totalmente aboliti. Fu l’assenza di questi che causò la reazione tra le 63 tonnellate di isocianato di metile conservate nei serbatoi e dell’acqua che si era infiltrata nella struttura. L’effetto fu devastante. A contatto con l’acqua, l’isocianato di metile sviluppò un forte calore che causò una pressione tale da far esplodere le valvole portando la sostanza chimica a propagarsi nell’aria. La nuvola tossica si spostò verso le vicine baracche, avvelenando e uccidendo circa 3mila persone sul momento, vittime che divennero oltre 18mila nelle ore e giorni successivi a causa dei ritardi ed errori nei soccorsi. Non finisce qui, la contaminazione si stima abbia causato lesioni, anche permanenti, a circa mezzo milione di persone e  ancora oggi l’incidenza di alcune malattie nella zona è doppia.

I processi che seguirono portarono quasi ad un nulla di fatto. Dal punto di vista penale i responsabili della UCIL sono stati condannati, ma il processo d’appello è ancora in corso, alla ridicola pena di due anni e 2000 dollari di multa, mentre l’amministratore delegato Warren Anderson, condannato a 10 anni, non fu mai estradato dagli USA, dove morì in Florida nel 2014. Sul piano la civile la Union Carbide si accordò nel 1989 per pagare circa 500 milioni di dollari alle vittime. Somma assolutamente insufficiente, specie se si considera che le richieste iniziali erano quasi 8 volte tanto. Beffa che si aggiunge al danno, il risarcimento, deciso tra l’azienda e il Governo senza interpellare le vittime, permette alla Dow Chemical (l’attuale proprietaria della Union Carbide) di rifiutare ogni integrazione per coprire gli ingenti danni causati all’ambiente e alle persone coinvolte, e che, tra l’altro, non hanno minimamente beneficiato della somma stanziata a seguito dell’accordo, tanto che la magistratura indiana ha recentemente condannato il Governo indiano a stanziare un fondo di perequazione di 300 milioni di dollari.

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