Di Stefania Mangiapane – La canapa è utile per produrre numerosi tipi di tessuti, fabbricare combustibili da biomassa, produrre carta e vernici ecocompatibili, materie plastiche e preparati medicinali, non richiede fertilizzanti e cresce bene quasi dappertutto. Fino agli anni ’30 del secolo scorso l’Italia era il secondo produttore al mondo per quantità. Nel periodo di massima produzione solo in Italia erano coltivati a canapa oltre 79.000 ettari con una resa annua che sfiorava gli 800.000 quintali.
Partiamo da un principio: anche se botanicamente si tratta sempre di “Cannabis sativa” o addirittura “C. indica”, dalle varietà ottimizzate per la produzione di fibra e semi non è possibile estrarre sostanze stupefacenti.
Secondo i dati diffusi da EIHA (European Industrial Hemp Association) la superficie totale nel mondo di coltivazione di canapa industriale ha raggiunto circa 85mila ettari nel 2011, dei quali circa 60.000 per le fibre (soprattutto Cina ed Europa) e 25.000 ettari per i semi (soprattutto Canada, Cina ed Europa).
Attualmente la canapa è coltivata su 17mila ettari nel territorio dell’Unione Europea (in almeno 13 Stati membri).
Se, infatti, si sposta l’attenzione di chi pensa alla canapa solo in termini di sostanza stupefacente, ci si può rendere conto degli innumerevoli utilizzi di questa pianta, praticamente immune da ogni patologia.
Molteplici sono, inoltre, i risvolti, anche sociali, che lo sviluppo della canapa può portare: per esempio, potrebbe portare ricchezza nei paesi in via di sviluppo, generare nuovi posti di lavoro creando nuove entrate allo Stato in modo da non dipendere più per il rifornimento di combustibili dall’estero.
Dagli scarti della lavorazione industriale di vegetali, tra cui la canapa, si può arrivare a produrre una plastica ecosostenibile.
Ma quali sono le prospettive di ricerca e sviluppo della canapa in Italia?
Lo abbiamo chiesto a Giovanni Milazzo fondatore di Kanèsis, una start up che prende il nome da un gioco di parole tra canapa e il termine greco kinesis che significa “movimento” per la ricerca e lo sviluppo di prodotti industriali derivati da natura, che possano soddisfare la totalità dei bisogni dell’uomo.
“Se solo si investisse in ricerca nella canapa e in generale in tutti i vegetali, potremmo veramente sfruttarla per qualunque applicazione industriale. Probabilmente il settore più ghiotto e con più margine di scoperta è il settore terapeutico, seguito dai polimeri e biocombustibili”.
Vi è particolare attenzione allo sviluppo di materiali a basso impatto sull’ambiente come la plastica ecosostenibile. Quali sono le difficoltà del decollo di questa coltivazione?
“Alla base dell’arretratezza del sistema industriale basato sull’agricoltura, ci sono gli interessi economici, solamente in un secondo momento questi vengono fiancheggiati da difficoltà di origine strutturale, nate e sviluppatisi in tutto il globo quando i macchinari e gli impianti vennero smantellati. Ripartire è sempre più articolato e complesso, ma non è impossibile”.
La canapa “made in Italy” può rappresentare un’ottima opportunità per il rilancio del settore automobilistico e tessile?
“Personalmente credo moltissimo nel settore automotive green, in particolare quello made in canapa, questo ha grossi margini di espansione, dettati dalle grosse case automobilistiche come BMW che usa già diverse tonnellate l’anno di canapa per le proprie auto ecologiche.
Il tessile che per decenni è stato il settore della canapa più sviluppato in Italia, è un attimo in ritardo e stenta a esplodere per assenza di strutture e macchinari che devono essere recuperati e riprogettati. Esiste quindi una necessità di investimenti nel settore impiantistica, investimenti che stiamo progettando proprio in queste settimane; e che ci porteranno a recuperare buona parte della filiera della canapa e di altre colture industriali, che ci permetteranno di riusare buona parte dei terreni siciliani abbandonati e diverse migliaia di giovani competenti in cerca di un occupazione.
Con i nostri compositi termoplastici tenteremo di entrare nel mercato e farci strada fra l’automotive e il biomedicale per poi passare ai biocombustibili.
Investire nella ricerca di materiali rispettosi dell’ambiente credo sia l’unico investimento per cui ne valga veramente la pena”.
Sull’argomento è intervenuta anche l’agronomo Brigida Spataro, alla quale abbiamo chiesto quali sono le potenzialità applicative a livello agronomico di questa pianta:
“L’Italia sino al 1945 era il secondo produttore mondiale dopo la Russia per la produzione di fibra tessile e per i suoi semi, ma dava fastidio alle multinazionali legate al petrolio ed alle fibre sintetiche che ne hanno preso il posto ed è quasi scomparsa dai nostri campi, nonostante così come altre piante presenti in natura, abbia anche delle spiccate capacità di fitodepurazione, cioè estrarre dal terreno agenti inquinanti come la diossina e i metalli pesanti.
Infatti secondo l’Abap (Associazione Biologi Ambientalisti Pugliesi), in un lavoro partito in sinergia con l’associazione CanaPuglia e il Cra (Centro di Ricerca per l’Agricoltura), ha verificato la capacità della canapa di sanare i terreni vicini all’Ilva di Taranto nella depurazione dalla diossina dalla quale sono contaminati.
Intanto in Sardegna sono stati stanziati 450mila euro in 3 anni per bonificare terreni a rischio con la canapa”.