Nel nord dell’Uganda si utilizzano pannelli solari per far arrivare elettricità nelle case di oltre un milione di persone. In Ghana per contrastare la deforestazione selvaggia il governo ha sviluppato nuovi piani industriali che regolano la produzione di legna fino all’esportazione. E in Ruanda una soap opera radiofonica porta avanti campagne di educazione sessuale, radunando ogni settimana il 74% della popolazione intorno ad una radio. Questi sono solo alcuni dei progetti finanziati dal Joint Africa – EU Strategy, la strategia congiunta che dal 2007 regola la cooperazione tra i 54 stati africani e i 28 stati europei. Lo scopo di questo accordo, siglato a Lisbona nel corso del secondo vertice UE-Africa, è quello di – si legge nel testo del documento – “portare la relazione tra Africa ed Europa ad un nuovo livello strategico con una partnership politica più forte ed una cooperazione rafforzata a tutti i livelli”.
I livelli individuati dagli accordi di Lisbona sono otto, e ad ogni livello è destinato un pacchetto di aiuti e di risorse specifico. Il partenariato che riguarda la sicurezza del continente africano mira ad esempio allo sviluppo del programma APSA – acronimo che sta per African Peace and Security Architecture – e dal 2004 ad oggi ha stanziato 1,1 miliardi di euro finanziando missioni di peace-keeping, come la AMISOM in Somalia e la AFISMA in Mali. Oltre ai livelli di governance democratica e diritti umani, energia, cambiamenti climatici e ambiente – per il quale sono stati stanziati 8 milioni di euro – c’è un livello dedicato alla mobilità e occupazione che punta alla mobilità accademica interna attraverso progetti specifici – come il programma Nyerere – di scambi universitari. Un altro livello è dedicato allo sviluppo delle infrastrutture, che si sviluppa grazie ai 746 milioni di euro che l’Unione Europa ha destinato per l’Africa Infrastructure Trust Fund. Altri due livelli sono stati pensati per garantire all’Africa di raggiungere gli “otto obiettivi del millennio” fissati dalle Nazioni Unite nel 2000, e per la ricerca scientifica.
Gli accordi siglati a Lisbona sono stati preceduti dal primo vertice tenuto al Cairo nel 2000, e nello stesso anno è stato siglato l’accordo di Cotonou, l’accordo di partenariato Ue-Africa che sostituisce gli accordi siglati con la convenzione di Lomè del 1975. Le attività di cooperazione tra Europa e Africa dopo il 2007 sono state monitorate con cadenza regolare durante il vertice di Tripoli del 2010 e quello di Bruxelles del 2014. Nel corso di quest’ultimo vertice si è tracciata una roadmap per il triennio 2014-2017 e gli otto livelli di Lisbona sono stati sostituiti da cinque priorità essenziali: pace e sicurezza, governance e diritti umani, human development, sviluppo sostenibile e questioni globali emergenti. “L’attuazione delle priorità si baserà su una vasta gamma di strumenti di finanziamento e di attività politiche”, si legge in una nota, e l’Unione Europea ha stanziato 28 miliardi di euro per il periodo 2014-2020 per i piani di cooperazione con l’Africa, fissando per il 2017 la data del quinto summit bilaterale.
Oltre ai soldi, in Africa la cooperazione ha portato risultati concreti. Nel 2011 l’Economist ha parlato di “crescita impressionante dell’Africa”, nel 2012 la classifica delle dieci economie con i più alti tassi di crescita era composta da sette paesi africani, e 8 dei 30 paesi nel mondo in cui tra il 2008 e il 2013 c’è stato un miglioramento del benessere sociale – si legge in un report – si trovano in Africa sub-sahariana. La crescita economica dell’area sub-sahariana del continente – dal 4,7% del 2013 al 5,2 % del 2014 – trova conferma anche in uno studio pubblicato dalla Banca Mondiale dal titolo “Africa’s Pulse”. Non tutte le sfide sono però state affrontate con successo: i dati sulla fame del mondo e sulla mortalità infantile sono in calo ma in Africa rimangono in proporzione sempre più preoccupanti che nel resto del mondo. E secondo l’Uppsala Conflict Data Program in Africa si contano ancora 13 conflitti in corso, con la minaccia di Boko Haram in Nigeria paragonata nei giorni scorsi dal New York Times a quella dello Stato Islamico in Iraq e in Siria. Come sottolineano dal Joint Africa-Eu Strategy, “molto rimane ancora da fare e i nuovi contesti globali, africani ed europei ci richiamano ad una revisione delle priorità. Tuttavia i risultati sono così incoraggianti da essere d’insegnamento per le iniziative future”