Era la notte tra il 20 e il 21 agosto 1968 quando 300mila soldati e 4000 mezzi corazzati del Patto di Varsavia, in larga parte sovietici, invasero la Cecoslovacchia mettendo fine nel sangue alla stagione di riforme nota con il nome di “Primavera di Praga”.
Tutto era iniziato nel gennaio del’68 quando la leadership del Paese e del partito fu presa dal riformista Alexander Dubcek. La Cecoslovacchia era, tra i Paesi del blocco comunista, quello che meno di tutti era passato attraverso un processo di destalinizzazione. Non solo la situazione era cambiata pochissimo rispetto ai tempi delle purghe staliniane ma anche l’economia stentava; la Cecoslovacchia, infatti, era prima della guerra tra i Paesi più industrializzati e ricchi dell’Europa centrale e l’applicazione del modello industriale sovietico aveva avuto effetti depressivi. Il diffuso malcontento portò molti esponenti del Partito Comunista Cecoslovacco a convincersi della necessità di riforme politiche ed economiche, fu così che il leader dell’ala riformista, Alexander Dubcek, salì al potere il 5 gennaio 1968, scalata che in un primo momento fu ben vista anche da Mosca, preoccupata dalla fragilità del regime cecoslovacco.
Il programma di riforme impostato da Dubcek, che lui chiamava “Socialismo dal volto umano”, si spinse più in là di quanto preventivato in Unione Sovietica. Decentramento amministrativo, maggiore libertà di stampa, di parola, timide liberalizzazioni nell’economia e la prospettiva di un multipartitismo erano i capisaldi del programma del nuovo governo. Nonostante Dubcek non avesse mai messo in dubbio l’appartenenza di Praga al blocco sovietico, le riforme prospettate rischiavano di minare l’unità del fronte e dei regimi filosovietici in Europa orientale.
Dopo mesi di continui ed infruttuosi tentativi di interferenze politiche, a Mosca si decise di passare all’azione, come 12 anni prima in Ungheria, inviando i carri armati a “normalizzare” la Cecoslovacchia.
L’esercito cecoslovacco, che per ordine del Patto di Varsavia era stato schierato sul confine tedesco, non oppose quasi resistenza e nel giro di 24 ore tutto il Paese fu occupato. Dubcek fu arrestato e costretto a firmare a Mosca un protocollo d’intesa in cui riaffermava la fedeltà cecoslovacca all’URSS. Stante le forti proteste popolari, tra cui il suicidio dimostrativo del giovane Jan Palach, al governo fu messo un altro riformista, Gustav Husak, che pur migliorando la situazione rispetto all’era pre-Dubcek annullò le riforme fatte dal suo predecessore, facendo di Praga uno dei Paesi più filosovietici del blocco.
L’invasione di Praga ebbe effetti anche all’estero. L’azione sovietica causò l’uscita dal Patto di Varsavia dell’Albania e un raffreddamento delle relazioni con la Romania di Ceausescu che si era detto vicino a Dubcek. In Occidente i partiti comunisti di Francia, Italia e Finlandia, fino ad allora ortodossi, criticarono e presero le distanze da Mosca ponendo le prime basi per quello che negli anni successivi sarà noto come “eurocomunismo”.