Tra le nazioni che hanno aderito alla coalizione internazionale contro lo Stato Islamico, la Turchia occupa un ruolo di primo piano, a causa della sua posizione geografica (in quanto unico paese NATO confinante con le aree in conflitto), e più in generale per motivi puramente strategici, non ultimo il fatto di possedere uno degli eserciti più numerosi e meglio addestrati del mondo. Sebbene faccia parte della NATO, e dichiari di combattere il Califfato, le azioni di contrasto intraprese dalla Turchia sono state finora pochissime, inefficaci, e in certi casi controproducenti.
Durante la battaglia tra le forze del Califfato e la resistenza delle milizie curde a Kobane, molti governi hanno invocato un intervento militare da parte del governo turco, il quale però, affermando che non avrebbe partecipato ai combattimenti se non fossero intervenuti altri eserciti stranieri, si è limitato a schierare i propri carri armati sul confine, e ha impedito a molti cittadini turchi appartenenti alla minoranza curda di unirsi allo scontro, e affiancare le milizie del PKK nella lotta alle forze IS che avevano occupato la città. Hanno inoltre destato scandalo nello scenario internazionale le repressioni che la polizia turca ha messo in atto in patria durante quella battaglia, ai danni dei curdi che hanno manifestato per chiedere l’intervento militare contro il Califfato, e di permettergli l’attraversamento del confine per unirsi alle forze curde; si stima che almeno quaranta persone siano rimaste vittima di questi scontri con le forze dell’ordine in suolo turco, favorendo quindi in maniera indiretta l’aggressione dello stato islamico ai danni del Kurdistan e della Siria.
Seppure le operazioni di polizia si sono dimostrate efficacissime nel controllo e nella repressione delle manifestazioni interventiste, i controlli si sono rivelati a dir poco lacunosi nei confronti di quelli che vengono definiti foreign fighters, ossia le persone che da tutto il mondo si uniscono alle milizie dell’IS: la Turchia è infatti la porta d’ingresso principale per Siria e Iraq, e sembra che quasi tutti gli aspiranti combattenti abbiano percorso quella strada per unirsi alle forze del califfato. Secondo le stime delle Nazioni Unite, sarebbero oltre 22mila le reclute straniere che si sono unite alle guerre del califfo, e la gran parte di esse sarebbe passata indenne attraverso la Turchia, cui governo non sembra avere messo in atto metodi di prevenzione efficaci.
Al fine di raccogliere informazioni certe, mi sono recato in Kurdistan, sul confine turco-siriano. A poche centinaia di metri oltre il filo spinato, c’è la città di Kobane, che da ottobre 2014 ha subito gli attacchi delle forze IS, prima che queste fossero definitivamente respinte dalle milizie curde, a gennaio di quest’anno. Sull’altro versante del confine si trovano le torrette militari presidiate dall’esercito turco a poca distanza l’una dall’altra, e si può osservare un continuo via vai di mezzi blindati e trasporti militari. Ad alcune decine di metri dai presidi dei soldati, sorgono diversi insediamenti, villaggi, e case costruite di recente dagli abitanti di Kobane in fuga; uno di loro, che ci ha chiesto di mantenere l’anonimato, mi racconta di essere scappato da Kobane pochi giorni prima che fosse conquistata, e che dalla propria casa ha potuto vedere come l’offensiva finale dello Stato Islamico, sia stata eseguita con la complicità dell’esercito turco: il 12 ottobre 2014 le forze IS riescono infatti ad attaccare Kobane da due fronti, dopo avere sconfinato in suolo turco, con una colonna comprendente centinaia di mezzi pesanti, hanno potuto aggirare la città, per poi rientrare in Siria pochi chilometri più a est, senza che i carri armati schierati da Erdogan sul confine accennassero alcuna manovra difensiva contro quelle che ufficialmente sono milizie nemiche.
Una tale negligenza nella lotta al terrorismo dell’IS assume la forma di un sostegno attivo al gruppo, se si tiene conto degli ostacoli che il governo turco ha posto alla resistenza curda; a dare qualche dettaglio è Nalan Durdu, presidente della Human Rights Association di Urfa. Dal momento che le forze armate curde sono considerate in Turchia una associazione terrorista, sembra che la polizia turca abbia arrestato diversi abitanti di Suruc, e di altre cittadine a maggioranza curda che si trovano in Turchia, per avere ospitato in casa propria alcuni profughi di Kobane, considerati miliziani dal governo turco. La stessa associazione ha denunciato alle Nazioni Unite diversi crimini di guerra che sarebbero stati perpetrati dall’esercito turco sul confine, tra cui il blocco di molte ambulanze che tentavano di trasportare feriti entro il confine, e i respingimenti del tutto arbitrari degli sfollati che fuggivano dalla battaglia. Mentre i feriti della parte curda rimanevano sul versante siriano del confine, temendo un arresto, se si fossero ricoverati in Turchia, sono state raccolte diverse testimonianze di operatori sanitari degli ospedali di Sanliurfa, i quali affermano di avere prestato soccorso a diversi feriti appartenenti all’IS, nel corso delle prime settimane di combattimenti; sebbene medici e infermieri abbiano scelto di mantenere l’anonimato, le testimonianze sono state raccolte da diverse associazioni, non solo nel capoluogo regionale di Sanliurfa, ma anche in altre città a maggioranza turca, e sono in corso le inchieste per accertare i fatti. Dopo le prime denunce in ogni caso, sarebbe cessato il flusso di feriti negli ospedali turchi, ma gli abitanti dei paesi adiacenti il confine hanno continuato a segnalare la presenza in suolo turco di miliziani del califfato per tutta la durata dei combattimenti, oltre a misteriose interruzioni di corrente nei loro insediamenti, che avrebbero coperto la loro fuga.
Durante il viaggio cui ho preso parte con la rete Kurdistan italiana, abbiamo potuto constatare in prima persona l’arbitrarietà dei respingimenti in entrambi i sensi, dal momento che al nostro pullman con a bordo molti fotoreporter è stato impedito di visitare Kobane, sebbene disponessimo dell’autorizzazione del prefetto locale. A questo si aggiungono le decine di denunce di altre organizzazioni umanitarie che avevano tentato di varcare il confine prima di noi, e che sono state bloccate, sebbene molte fossero composte unicamente da medici o giornalisti, e nonostante trasportassero beni di prima necessità o medicinali; pochissime persone sono riuscite a raggiungere la città per le vie convenzionali, e questo isolamento ha favorito le forze d’assedio durante la battaglia, e sta tutt’ora ostacolando la ricostruzione della città.
di Andrea Governale