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“Questo incontro è un grande avvenimento storico. […] Per lottare contro questa oppressione, già da molto tempo e in molti paesi, le donne si sono unite ma, fino ad ora, i contatti fra i diversi gruppi erano stati sporadici. Oggi per la prima volta, questi gruppi si riuniscono insieme e donne venute da ogni parte del mondo prenderanno coscienza dello scandalo della loro condizione”.

Così nel 1976 Simone de Beauvoir commentava la nascita del Tribunale internazionale sui crimini contro le donne, uno dei momenti che più di ogni altro ha tracciato la via di una mobilitazione che continua ancora oggi, forse tra i più incisivi della lotta della liberazione della donna dall’oppressione maschile.

Nel marzo di quell’anno 2000 donne provenienti da 40 Paesi si erano riunite a Bruxelles con l’intenzione di denunciare le tipologie di reati violenti e discriminatori commessi contro le donne e le bambine di ogni cultura. Le scrittrici e attiviste femministe Diana E. H. Russell e Nicole Van Den Ven – quest’ultima documentò in un libro le quattro giornate – furono le principali organizzatrici dell’evento definito dalla Beauvoir come “l’inizio di un radicale  affrancamento della Donna”.

Ne è passato di tempo perché si potesse connotare un tipo di violenza perpetrata dagli uomini nei confronti delle donne, si iniziasse ad usare il termine femminicidio – a dire il vero ancora oggi contestato – con la consapevolezza di distinguere un crimine commesso sulla base dell’appartenenza di genere, e si prendesse coscienza del fenomeno per arrivare prima alla denuncia sociale e infine al riconoscimento giuridico internazionale.

“E’ urgente che le donne si mobilitino […]. Forti della solidarietà che c’è tra di voi, elaborate delle tattiche di difesa, di cui la principale è proprio questa che vi accingete a mettere in pratica: parlare tra di voi, parlare al mondo, mettere in luce le vergognose realtà che la metà del genere umano si sforza di nascondere. Questo Tribunale è già di per sé un atto d’accusa. Un atto che ne annuncia molti altri”. Sono attualissime le parole di Simone de Beauvoir, tanto che ancora oggi in uno stato come la Turchia si dibatte su assurdi disegni di legge: quello presentato nei giorni scorsi prevedeva la cancellazione della pena per gli stupratori di minorenni qualora avessero sposato la vittima e nel caso l’atto fosse stato ritenuto consensuale. La proposta è stata poi ritirata grazie alla pressione internazionale e alle proteste dei partiti di opposizione.

Politiche di un Paese così lontano eppure tanto vicino, visti i richiami dell’Onu al governo italiano. Nonostante l’adozione di leggi e politiche ad hoc, la violenza di genere non accenna a diminuire: “In Italia resta un problema grave, risolverlo è un obbligo internazionale”.

E così solo quando i tremendi casi di cronaca vengono alla ribalta nazionale torniamo a parlare di femminicidio, dimenticando che non si tratta di un fenomeno emergenziale, bensì strutturale e trasversale a tutti i ceti sociali. Intanto non si affronta realmente il problema di istituire un’educazione sentimentale nelle scuole, un ritardo che pesa ogni giorno di più.